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Un’indennizzo a vita per una donna con sangue infetto durante una trasfusione

Un indennizzo a vita è stato assegnato a una donna residente nei Castelli Romani, in seguito a un caso di malasanità accertato dal tribunale di Foggia. La vicenda risale al maggio del 1981, quando la donna, allora quattordicenne, ricevette diverse sacche di sangue durante una trasfusione presso l’ospedale provinciale San Giuseppe di Marino, in provincia di Roma. Dopo oltre 30 anni dalla procedura, la donna ha deciso di rivolgersi a uno studio legale, che ha portato alla decisione del tribunale di concederle un indennizzo a vita di 1700 euro bimestrali, oltre a circa 40mila euro di arretrati.

La trasfusione avvenuta all’ospedale di Marino

Secondo quanto emerso dalla sentenza emessa il 18 settembre 2024 dalla sezione Lavoro del tribunale foggiano, la giovane di Marino, all’epoca quattordicenne, era affetta da un evento acuto di anemia emorragica. È solo nel marzo del 2018, dopo 33 anni dalle trasfusioni, che la donna ha scoperto di essere stata contagiata dal virus dell’epatite B. Durante un normale controllo del sangue, le sono stati comunicati valori anomali delle transaminasi epatiche, che hanno portato i medici a indagare sulla presenza di virus epatici.

La scoperta dell’epatite B

Dopo un’attenta analisi, la donna è stata informata di essere affetta da un’epatite B irreversibile in uno stadio avanzato. A differenza dell’epatite C, curabile con farmaci di ultima generazione, l’epatite B non aveva ancora una cura definitiva. La donna è rimasta sconvolta quando i medici le hanno spiegato che il virus dell’epatite B si contrae con difficoltà e colpisce principalmente soggetti tossicodipendenti, prostitute, persone con comportamenti sessuali promiscui, pazienti sottoposti a dialisi ed emotrasfusi.

Il ricovero del 1981 all’ospedale di Marino

Solo dopo aver ripercorso la sua storia, la donna ha ricordato il ricovero di 33 anni prima, ma non aveva idea di essere stata sottoposta a una trasfusione da adolescente. A 57 anni, si è rivolta all’avvocato Renato Mattarelli, che ha ottenuto, dopo una lunga battaglia legale iniziata nel 2020, la sentenza del tribunale di Foggia che ha riconosciuto l’indennizzo a vita e gli arretrati dovuti alla donna di Marino.

La lotta per il riconoscimento del danno

Nonostante i rifiuti iniziali da parte delle autorità sanitarie, l’avvocato Mattarelli non ha mollato e ha continuato a combattere per ottenere giustizia per la sua assistita. La sentenza del tribunale di Foggia rappresenta una vittoria importante, ma per l’avvocato Mattarelli è solo l’inizio per garantire alla sua cliente un risarcimento completo dei danni subiti. La donna, infatti, dopo aver appreso della sua condizione, è caduta in una profonda depressione che le impedisce di condurre una vita normale, costretta a frequenti controlli per monitorare lo stato dell’epatite B.

Possibili implicazioni per altri casi

L’avvocato Mattarelli, esperto in casi simili, vede questa vittoria come un punto di partenza per far valere i diritti delle vittime di malasanità. Oltre all’indennizzo a vita, è importante considerare il danno emotivo e psicologico che molte persone affette da malattie trasmesse attraverso trasfusioni di sangue devono affrontare. L’episodio della donna di Marino mette in luce la necessità di una maggiore attenzione e controllo nel settore sanitario per evitare simili tragedie in futuro.

Impatto sull’assistenza sanitaria

La storia di questa donna evidenzia la fragilità del sistema sanitario e la necessità di garantire standard elevati di sicurezza e controllo. I pazienti devono poter fidarsi completamente delle cure ricevute e avere la certezza che la loro salute non sarà compromessa da negligenze o errori medici. Il caso della donna di Marino mette in luce la responsabilità delle istituzioni nel garantire un’assistenza sanitaria di qualità e la necessità di un sistema di compensazione efficace per le vittime di malasanità.

Conclusioni

La decisione del tribunale di Foggia di assegnare un indennizzo a vita alla donna di Marino rappresenta un passo importante verso il riconoscimento dei diritti delle vittime di malasanità. È fondamentale che casi simili vengano affrontati con serietà e determinazione, per garantire giustizia e supporto alle persone colpite da errori medici. Speriamo che questa storia possa sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni sulla necessità di proteggere i pazienti e assicurare loro un’assistenza sanitaria sicura e affidabile.