Scende le scale con difficoltà. Ha dolori ovunque: alle gambe, alla schiena, alla testa. Il suo volto è tumefatto, come anche le braccia. Nonostante il fondotinta, sulla sua pelle sono evidenti i segni della violenza subita la notte tra domenica e lunedì nel sottopasso di piazza della Croce Rossa, nel cuore della Capitale. Francesca (la chiameremo così) è una 42enne romana, aggredita e abusata da un senza fissa dimora di origini marocchine ora arrestato della polizia. «Sono sollevata nel sapere che è in carcere perché nessun’altra deve subire l’atrocità che ho vissuto: un’ora al buio, nell’inferno del mio aguzzino», dice con gli occhi lucidi.
Cosa è successo quella notte? «Dopo aver trascorso una serata con le amiche, stavo andando a piedi alla Stazione Termini per prendere il bus che mi avrebbe riportata a casa quando ho sentito una persona bloccarmi da dietro. Con un braccio mi ha stretta a sé e mi ha portata nel sottopasso». Lì sotto cosa è accaduto? «L’inferno: era tutto buio. Ero a terra e sentivo che sotto di me c’erano alcune coperte e dei piumini. Era tutto nero. Poco dopo però lui ha acceso la torcia del cellulare e in quel momento ho visto cumuli di immondizia e oggetti abbandonati ovunque. Forse l’aveva accesa per vedermi meglio, non lo so. È stato tutto così traumatico che non so dire nemmeno quanto tempo abbia trascorso in quel posto terribile. Circa un’ora credo, che però è sembrata un’eternità».
La testimonianza scioccante di Francesca
Cosa le ha fatto in quell’ora? «Ha abusato di me senza che io riuscissi a reagire. Ero immobile, incapace di fare qualsiasi cosa. Mi sentivo impotente e temevo che se avessi reagito lui avrebbe potuto farmi del male». Del male al punto di arrivare a ucciderla? «Sì. Ho avuto paura di morire. Nel sottopasso ho intravisto bottiglie di vetro, forchette e coltelli. Ho pensato che se io avessi provato a fuggire lui avrebbe potuto ammazzarmi. È stato orribile: mentre abusava di me continuava a dirmi cose irripetibili».
Non riusciva a difendersi, ma immagino abbia provato a chiedere aiuto… «Gridavo con tutta la voce che avevo, ma non mi sentiva nessuno perché il sottopassaggio è abbandonato. La cosa che infatti mi fa molto arrabbiare è che quel posto lì, come molti altri sottopassi di Roma, è inutile e pericoloso». In che senso? «Non vengono usati da anni. Quindi non servono per attraversare e vengono solo usati da sbandati e malintenzionati che ci vivono e ci fanno cose come quella successa a me. Dovrebbero chiuderli per fare in modo che non possa più entrarci nessuno oppure riqualificarli. Così sono solo un pericolo. È assurdo pensare che a Roma ci siano terre di nessuno dove chiunque può sentirsi libero di fare quello che vuole».
La lotta per la sopravvivenza
Come è riuscita a liberarsi del suo aguzzino? «Ho approfittato della sua distrazione per fuggire via. Mentre si rivestiva, ho recuperato i miei abiti e ho iniziato a correre a più non posso». Arrivata in strada cosa ha fatto? «Volevo chiamare il 112, ma non avevo più il cellulare, come nemmeno il mio portafoglio e l’orologio. Non so bene se sia stato lui a rubarmi tutto oppure se io li abbia persi durante la violenza. So solo che mi sono trovata in strada senza poter telefonare a nessuno».
Quindi cosa ha fatto? «Stava albeggiando, in strada iniziava a esserci un po’ di gente. Io gridavo e provavo a bloccare le auto che passavano, ma nulla. Nessuno mi aiutava. Forse pensavano che fossi una malintenzionata visto che ero sporca, con il trucco colato e i vestiti sgualciti. Ma è comunque assurdo non aiutare una donna. L’indifferenza della gente mi ha fatto davvero male».
La ricerca di giustizia e la guarigione
Come è riuscita a contattare le forze dell’ordine? «Dopo circa 20 minuti che cercavo aiuto, si è fermata una signora che stava andando al lavoro. È stata lei a chiamare il 112. Dopo aver raccontato alla polizia cosa era accaduto, sono stata portata al Policlinico Umberto I per essere visitata e curata. Ero ancora in ospedale quando è tornata la polizia con la foto segnaletica dell’aggressore per chiedermi se fosse lui. Io ho confermato».
Ora come si sente? «Sono sconvolta. Ho paura a uscire anche di giorno. Adesso ho solo bisogno di stare a casa con i miei genitori e mio fratello più piccolo. Voglio solo trascorrere le mie giornate con loro, cercare di rimettermi anche fisicamente e soprattutto dimenticare questa orribile storia. Pensare a quei momenti mi fa male: è come riviverli di nuovo».
La sua famiglia cosa le ha detto? «Non sanno tutta la verità. Gli ho detto solo che sono stata aggredita. Ma non gli ho parlato della violenza: sono anziani e devo proteggerli. Non voglio che provino lo stesso dolore che ho vissuto e sto vivendo io».