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Un mio amico scriveva giorni fa nella nostra chat: “Ho visto che in media a Roma la velocità delle auto è sotto i 19 km all’ora. In pratica, la più grande zona a 30 km l’ora è l’intera città, tra le prime al mondo a sperimentare il traffico limitatissimo”. Mi capita spesso, da tempo, di leggere cose del genere. Apparentemente ragionevolissime, se non fosse che contengono un inganno logico in cui cadono in tanti. Una roba da sofisti, insomma. Vediamo perché.

Velocità media e massima
La velocità media a Roma – a causa della quantità elevata di auto e veicoli che circolano per la città, con il sistematico parcheggio in doppia fila etc – secondo i dati ricavati da TomTom (la società olandese che produce sistemi di navigazione satellitare), 25 km. Ma si tratta, appunto, di una media. Che mette insieme il traffico da lumaca di certe code chilometriche ma anche quelli che sfrecciano a oltre 100 all’ora sulla Cristoforo Colombo o che vanno a 80 sui rettilinei di periferia, talvolta investendo pedoni o ciclisti.

Non c’è soltanto la velocità tra le prime cause di incidenti, è vero: secondo un’indagine ISTAT e ACI ci sono infatti prima di tutto la distrazione del conducente (spesso attribuita all’utilizzo degli smartphone durante la guida) e il mancato rispetto della segnaletica stradale (stop, semaforo e il dare precedenza). La velocità è al terzo posto: ma certamente il mix tra queste cause (velocità e distrazione, velocità e mancato rispetto delle regole…) è pericolosissimo.

Oggi in città ci sono diversi limiti di velocità: normalmente a 50 km l’ora, ma anche a 30 km l’ora. Su alcune strade urbane il limite è però a 70 o a 80 km orari. La proposta di aumentare le aree della città con velocità massima a 30 km l’ora (che secondo il sindaco Roberto Gualtieri dovrebbe arrivare a coprire il 70% delle strade secondarie) non è dunque una questione di media, ma di velocità massima consentita (possibilmente non solo con cartelli ma con certe accortezze che costringano le auto a rallentare, dai dossi alle strade ristrette all’introduzione di curve, etc).

Obiettivo: ridurre gli incidenti
Perché si fa, qual è l’obiettivo? Quello di ridurre gli incidenti e gli investimenti. Uno studio presentato il 20 settembre scorso a Trento sull’applicazione della misura “30 km” in alcune città europee, tra cui Bologna, indica che esso comporta una riduzione media degli incidenti stradali pari al 23%, un decremento medio del 18% delle emissioni e una riduzione dei livelli di inquinamento acustico di una media di 2,5 dB. Minore l’impatto sulla riduzione del traffico: il 2% (ma è chiaro che per ridurre il traffico ci vogliono più mezzi pubblici, veicoli in sharing, piste ciclabili, etc). Per completezza d’informazione, esiste anche uno studio del Politecnico di Milano secondo cui percorrendo le strade a 30 km/h, crescono anche le emissioni di monossido di carbonio, anidride carbonica, ossidi di azoto e particolato, perché i motori delle auto a combustione interna sarebbero stati realizzati per avere la migliore efficienza di consumo intorno ai 70-80 km/h. Però, a questa obiezione si potrebbe rispondere che dunque non va bene neanche il limite dei 50 km all’ora: alzandolo ad almeno 70 km, si potrebbe ridurre ulteriormente lo smog!
Ma se l’obiettivo principale è ridurre gli incidenti, e dunque il numero delle vittime, la scelta razionale resta comunque una: ridurre la velocità (oltre ovviamente a sanzionare duramente chi non rispetta stop etc e chi usa lo smartphone guidando…). In ogni caso, qui l’agenzia di stampa Ansa ha compiuto un fact checking sulla questione dei 30 km all’ora, arrivando alla conclusione che riduce gli incidenti e non è provato che aumenti l’inquinamento, con tanto di numeri esplicativi.

I diesel inquinano ancora
Chi contesta il divieto del 30 km all’ora sembra essere in buona compagnia, spesso, con chi è contrario ai divieti imposti ai diesel nelle città.
Detto che l’aria nelle città italiane è “tra le peggiori d’Europa” (titolava un articolo del Sole 24 Ore), la questione riguarda i dati raccolti e diffusi dall’Agenzia europea per l’ambiente (EEA), sulla concentrazione di particolato fine, le cosiddette Pm 2,5. Si tratta di polveri le cui elevate concentrazioni sono state individuate come cancerogene (nel 2008 l’Unione europea ha imposto come valore massimo consentito una concentrazione annuale pari a 25 microgrammi per metro cubo, ma per l’Organizzazione Mondiale della Sanità il livello di pericolosità è più basso 10 microgrammi per metro cubo). Ma anche le Pm 10 sono considerate pericolose.
Il particolato è prodotto in parte dal riscaldamento domestico (soprattutto nella Pianura Padana, dove si fa ampio uso di pellet e stufe) e in parte dal traffico automobilistico. Soprattutto dai diesel più vecchi, che emettono una quantità maggiore di polveri sottili e più ossidi di azoto (NOx). Ma anche i diesel più moderni sono comunque più inquinanti (e certamente anche le auto a benzina più vecchie). Di qui, la decisione di molte città, in tutto il mondo, di vietarne la circolazione.
Roma, su questa misura, ha fatto marcia indietro dopo le proteste del 2023, rinviando l’introduzione dei prossimi divieti di circolazione.

Oggi dal lunedì al sabato con esclusione dei giorni festivi infrasettimanali, non possono accedere, circolare e sostare nella Fascia Verde autoveicoli (inclusi quelli dei residenti) benzina e diesel Euro 2 e precedenti e diesel Euro 3 (ma anche ciclomotori, microcar e motoveicoli benzina e diesel Euro 1 e precedenti). In teoria, dal prossimo 1 novembre la misura riguarderà anche gli autoveicoli diesel Euro 4 (e dal novembre 2025 quelli a benzina Euro 4). Ma quanto scrivono alcuni media, i controlli video agli ingressi della Fascia Verde non saranno operativi prima della primavera 2025.

E allora l’elettrico?
Un’altra obiezione è quella contro i veicoli elettrici che, secondo gli oppositori (che spesso si mischiano con coloro che sono contrari ai 30 km all’ora e ai divieti per i diesel: l’obiettivo comune sembra quello di non toccare in alcun modo il dominio delle auto in città) emetterebbero comunque gas a effetto serra, anzi, sarebbero dannosi come o più dei veicoli a benzina, in particolare per la produzione delle batterie.
C’è uno studio svedese secondo cui circa metà delle emissioni di CO2 legate alla produzione delle batterie è generata dalla lavorazione dei materiali grezzi utilizzati per costruire gli accumulatori, mentre il 20% è legato alle attività minerarie. Si tratta quindi di emissioni indirette, che non avvengono mentre il veicolo circola, ma che sono da inserire invece nella “colonna” della cosiddetta CO2 equivalente.
La questione è: che fonti si usano nella fase di costruzione le batterie? Se si usano fonti di energia rinnovabile (eolico, idroelettrico, solare etc), che in pratica non emettono CO2, il problema non si pone. Se si usano fonti fossili (petrolio, gas etc), invece, si generano emissioni a effetto serra: ma le batterie elettriche possono essere riutilizzate per altri scopi, dopo essere state usate sulle auto, e a “fine vita” i loro componenti possono essere estratti e reimpiegati, teoricamente a ciclo continuo. Mentre i motori termici non possono essere riutilizzati: continueranno a bruciare benzina, diesel e gas e basta.
Poi c’è la questione dei freni e degli pneumatici, che secondo alcuni studi inquinerebbero più dei motori: e dunque, siccome le auto elettriche hanno anch’esse freni e ruote, inquinerebbero. Ma lo stesso studio dice che anche in questo caso, però, le elettriche inquinerebbero comunque meno.

Quindi? Quindi, la questione è ideologica e insieme di interesse: c’è chi ritiene che le auto debbano continuare a dominare gli spostamenti in città e che debbano essere alimentate dai combustibili fossili. I dati dicono però che il limite di velocità a 30 km orari provoca meno incidenti e che le auto diesel (e in secondo luogo quelle a benzina) inquinano di più.
Ovviamente queste misure non risolvono da sole il problema della mobilità in città: come dicevamo, serve un incrocio di misure, più mezzi pubblici, più sharing, più elettrico, più piste ciclabili e mobilità alternativa. E incentivi per l’acquisto di auto non inquinanti legati al reddito delle famiglie.